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Santeraclio scritta

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Di Fabio Bettoni   (21dicembre 2018)

 

 

 

 

Il 20 luglio 1918, dunque ancóra nel pieno della Grande Guerra, il presidente della Società “Pro Sant’Eraclio”, Luigi Tacchi, e il segretario d. Luigi Polanga, parroco del Paese, scrivevano al sindaco Francesco Maneschi e ad Antonio Maiolica Gentili Spinola, presidente dell’Associazione delle Comunanze Agrarie di Foligno, affermando:

I componenti la Società Pro S. Eraclio, essendo venuti a conoscenza che il Monte detto di S. Eraclio situato ai confini tra Foligno e Trevi, è intestato al catasto la “Comunanza di S. Eraclio”, e che il Comune di Foligno ne amministra e ne gode le rendite, fanno istanza alla S.V. Ill.ma perché siano autorizzati a costituire nuovamente, a norma della legge 4 agosto 1894, la Comunanza Agraria in questa frazione.

Si faccia attenzione: la legge del ’94, cui correttamente ci si appellava, era la n. 397: essa riconosceva personalità giuridica alle Associazioni Agrarie costituite sulla base della fondamentale legge 5489 del 24 giugno 1888, che, relativamente alle regioni già appartenenti allo Stato Pontificio, aveva abolito le servitù di pascolo, semina, legnatico prevedendone l’affrancazione attribuendo i fondi gravati da usi civici alla popolazione dei Comuni o delle Associazioni Agrarie dietro pagamento al proprietario di un canone annuo. Ci si appellava, altrettanto opportunamente al Comune, in quanto, sia la legge dell’88 sia quella del ’94 vedevano nell’Ente locale il rappresentante dell’universalità degli utenti. I santeracliesi chiedevano non di costituire la Comunanza Agraria, ma di costituirla “nuovamente”.
Per cogliere le ragioni che sottostavano ai termini della richiesta occorre rifarsi ai dati registrati nel Catasto Gregoriano a partire dal 1834 e varati nel 1859. A quest’ultima data, i beni delle 7 Comunanze inscritte nella mappa di Foligno raggiungevano i 973 ettari, per la maggior parte dotali della Comunanza Agraria di Roviglieto (40 per cento), cui facevano séguito il Comune di Foligno (30 per cento) e la Comunanza Agraria di Scandolaro (12 per cento), ripartendosi il resto (18 per cento) tra gli Abitanti di Sustino, Santo Stefano dei Piccioni e Sant’Eraclio, avendo la Comunanza di Scafali un solo forno e nessun fondo agricolo. La terra comune di Sant’Eraclio era un piccolo appezzamento (intorno ai 10 ettari) nel contesto del mappale di Foligno; contingente che risultava ancora più esiguo se considerato in relazione all’impianto complessivo che includeva, con quello di Foligno, i mappali di Colfiorito, Rasiglia e Scopoli, fino alla concorrenza di 5.005 ettari, pari al 19 per cento dell’ettarato territoriale del comune folignate (26.380 ha).
Nonostante l’esistenza acclarata nel 1859, del fondo comunitario santeracliese sembra si perdessero le tracce; tanto che quando il 4 aprile 1905 si presentava alla Camera elettiva del Regno la Relazione sull’andamento dei Domini collettivi regolati dalla Legge 4 Agosto 1894 essa elencava nella provincia di Perugia (che comprendeva anche la Sabina e il Reatino) 118 comunanze, delle quali 21 nel Circondario di Foligno. Nel territorio folignate, in particolare e in stretta continuità con quanto si era registrato al momento di varare la summenzionata legge n. 5489/del 1888, si contavano le comunanze di Cancellara, 49 ettari; Roviglieto, 394 ha; Scandolaro, 44 ha; Uppello, 19 ha: per un’entità fondiaria di 506 ettari che salivano a 570 con il patrimonio intestato agli Abitanti di Annifo. Assente qualsivoglia riferimento a Sant’Eraclio. A ben vedere, però, il “mistero” era racchiuso nella formula di Tacchi-Polanga alludente al fatto che il Comune nel 1918 amministrava e godeva le “rendite” di quel fondo utilizzato come cava di pietra. (A loro dire, peraltro, i pietrami derivanti dalla terra del Monte fruttavano all’Ente pubblico un “cespite di lucro non indifferente”.) Già: il piccolo fondo era entrato a far parte del Demanio Comunale perdendo il peculiare, antico connotato comunitario locale; era stato un frutto della legislazione che, dalla 5489/88 alla legge n. 76 dell’8 marzo 1908, aveva riconosiuto ai Comuni il persistente carattere rappresentativo ed eventualmente assimilitavo dei beni e diritti degli Utenti là dove non se ne potesse certificare l’origine.
La legge del 1908 appena ricordata sollecitò, in Foligno come nel resto delle regioni già pontificie, una maggiore attenzione verso i destini sia del Demanio Comunale sia degli spazi storicamente pertinenti alle Università degli Uomini o degli Abitanti e delle Comunanze. Si avviò, faticosamente, un percorso. Solo nel 1913 si provvedeva per via governativa alla costituzione di 12 Associazioni Agrarie, e il Consiglio comunale deliberava (26 luglio) la consegna dei beni appartenenti a ciascun Ente; consegna eseguita senza la ricognizione dei beni tanto che, il 31 marzo del 1914, l’Associazione delle Comunanze Agrarie ne richiedeva l’urgente effettuazione. Finalmente, entro il 2 marzo 1916, si dava l’esistenza di 14 Comunanze Agrarie: Annifo, Belfiore, Cancelli, Casenove, Colfiorito, Colle San Lorenzo, Fondi, Pale, Pisenti, Popola, Rasiglia, Serrabassa, Uppello (già in essere, quest’ultima, nel 1888 e nel 1905), Verchiano. Nessun riferimento agli Enti di Cancellara e Sant’Eraclio. A questa fase, ne sarebbe seguita una di adeguamento istituzionale con la redazione, da parte di ognuna di esse, di Statuti uniformati alle disposizioni del R. Decreto 29 ottobre 1922, n. 1472, recante il regolamento per l’ordinamento e il funzionamento delle Associazioni Agrarie. Entro il 1922, peraltro, si federavano tutte nell’Associazione delle Comunanze Agrarie di Foligno. Con il riordinamento degli Usi civici e la ridefinizione degli Istituti, realizzati, l’una e l’altra, nel primo decennio fascista (1924-30), risorsero gli Enti di Cancellara, Roviglieto, Scandolaro, sorsero e/o si affermarono le Comunanze di Arvello, Cariè, Sant’Eraclio, Santo Stefano dei Piccioni, Sostino, e da ultimo Cassignano, nel 1933; al 31 dicembre di quell’anno, l’entità numerica era attestata su 22 enti che nel complesso detenevano 4.288,213 ettari di pascoli, prati naturali e boschi (16,25 per cento del territorio agrosilvopastorale di Foligno); essi erano distinti dal punto di vista istituzionale-patrimoniale in due compagini fondiarie: dei Frazionisti - la cui identità giuridica, con la qualificazione Abitanti di..., era stata validata dal Catasto Gregoriano nel 1834 - e delle Comunanze Agrarie. Come si vede, quanto al contingente fondiario riconosciuto alle collettività locali originarie ci si scostava di ben 700 ettari dalla consistenza catastale del 1859 (che veniva data in 5.005 ettari, come ho già rilevato). Quanto pesarono i processi di privatizzazione dei beni comunitari i quali, avviati nei territori pontifici già all’inizio dell’Ottocento, furono rafforzati nel dicembre 1849, e verosimilmente non si arrestarono in seguito, non è dato sapere; ma sottrazioni, se non proprio usurpazioni, erano note ed evidenziate alla fine del 1933, allorché si denunciavano contenziosi tra privati ed Enti comunitari il dettaglio dei quali ometto in questa sede.


2. La notevole differenza tra la situazione del 1905 e quella rilevata al 1933 si spiega con la duplice evoluzione dell’ordinamento nazionale e della situazione locale. Quanto al quadro ordinamentale generale, si devono ricordare: la Legge 2 agosto 1894, n. 510: sulla costituzione delle associazioni agrarie, riconoscendole come enti morali; e la già menzionata Legge 4 agosto 1894, n. 397 che provvedeva a riordinare i dominî collettivi nelle province già pontificie. In buona sostanza, si provvedeva a completare la 5489 del 1888. Vennero riconosciute le associazioni di utenti già esistenti, i beni derivanti loro dalla soppressione degli usi collettivi furono strutturati in proprietà collettiva, per essere amministrati e gestiti dai soggetti che avevano esercitato gli usi precedentemente e per ciò si riconosceva personalità giuridica ai dominî collettivi. In pratica, si ritornava al concetto antico di far coesistere, accanto alla proprietà privata, una forma di proprietà collettiva regolata per legge. Infine, la Legge 8 marzo 1908, n. 76 che dichiarava la inalienabilità e imprescrittibilità dei domini collettivi in quanto beni demaniali e prevedeva il ripristino, in alcuni casi, degli antichi diritti delle popolazioni.
Quanto alla situazione locale, dobbiamo muovere dalle posizioni che assunsero i partiti di orientamento socialista e radicale sul tema del Demanio Comunale, verificandone l’incidenza effettuale. Nel 1902, l’Unione dei Partiti Popolari, formata dai partiti Repubblicano, Radicale e Socialista, fu la prima compagine politica che, pur senza porre la questione delle Comunanze, s’interessò ai destini del Demanio Comunale. In occasione delle Amministrative parziali del 1902, infatti, l’Unione poneva all’ordine del giorno lo “studio di sistemazione razionale dei beni comunali con minimi canoni enfiteutici”: come si vede, l’obiettivo trascendeva le appartenenze comunitarie in quanto tutti, a prescindere dalla loro origine demo-anagrafica, avrebbero potuto accedere alla contrattazione enfiteutica, data, per di più, la prevista esiguità dei canoni di affitto. Nel 1905, i Socialisti della montagna, capeggiati da Ferdinando Innamorati, indiscusso e prestigioso militante originario della frazione di Belfiore, accentuavano questo carattere a-territoriale nell’accesso al Demanio Comunale, là dove, in vista delle amministrative parziali di quell’anno, proponevano, quale contributo specifico nell’ambito del programma ufficiale del Partito Socialista Italiano, la “concessione delle terre incolte comunali ad associazioni di lavoratori”: ciò significava prospettare ancora una volta una soluzione che non teneva conto delle appartenenze territoriali originarie e, nel contempo, indicava uno sbocco lavoristico e di classe nell’impiego del patrimonio fondiario spettante al Demanio Comunale, nella prospettiva, andava da sé, di un più generale miglioramento agricolo e agricolturale. Faccio notare che dicendo dei “beni comunali”, tutti i soggetti politici fin qui menzionati si riferivano ai Demani Enfiteutici di Rasiglia e di Scopoli i quali, secondo dati ufficiali resi noti nel 1909, ammontavano all’entità a suo tempo registrata nel 1859: ettari 2.423. Ma nel 1905, i socialisti della montagna non invocavano il ripristino istituzionale delle antiche aggregazioni comunitarie, le Università degli Uomini o Comunanze appunto: il loro obiettivo contrastava con l’indirizzo “comunitario-comunalistico” che, già riconosciuto in certa misura dalla legislazione del 1894 (leggi nn. 510 e 397), si sarebbe affermato più nettamente con la legge 8 marzo 1908, n. 76 prima ricordata, obiettivo teso a salvaguardare l’utilità (potenziale) dei (potenziali) Utenti Originari; la visione socialista, insomma, puntava all’affermazione di uno jus soli, piuttosto che al mantenimento-ripristino di uno jus sanguinis.
Di lì a non molto, il Partito Radicale, il cui punto di riferimento era, ancor più che in precedenza, il deputato nazionale Francesco Fazi, prese di petto l’argomento, precisò e si distinse. Ciò avveniva nel 1909, allorché, al Comune, s’insediata una Giunta risultante dall’accordo politico tra Radicali e Unione Monarchica Costituzionale (facente capo, tra gli altri, a Ruggero Mercurelli Salari e Antonio Sorbi). La nuova Amministrazione, presieduta da Girolamo Girolami Parisi, si mosse nell’ottica di “valorizzare” l’ingente massa demaniale ponendosi l’obiettivo di conseguirne un provento annuale di almeno 10 mila lire; a tale scopo non escludeva di assumere provvedimenti quali: a) la “concessione enfiteutica dei terreni in piccoli lotti” (ma riservata, diversamente da quanto avevano sostenuto i Socialisti, ai soli Frazionisti), o b) il ripristino “delle antiche comunanze agrarie retrocedendo alla diretta amministrazione dei Frazionisti il patrimonio collettivo che da tempo immemorabile coltivarono e goderono”. I Radicali partivano da un presupposto limpidamento espresso dall’on. Fazi, nella sua qualità di assessore al Bilancio e Finanze della Giunta di Girolami Parisi:

Il sistema collettivo dei beni demaniali costituisce, nella organizzazione economica della montagna, una integrazione della proprietà individuale, specialmente dove, come è nel nostro caso, per la natura del terreno, non è possibile una coltura intensiva. La proprietà collettiva offre la terra ai poveri che ne traggono, specialmente con l’allevamento del bestiame, uno dei mezzi migliori per il loro sostentamento. Rintracciare gli statuti delle antiche comunanze, modificarli in quelle parti che possono ritenersi nei tempi presenti deficienti, ricostituire le antiche società in base a criteri più moderni, è materia che richiede uno studio accurato al quale il Comune non deve sottrarsi.

Diversamente dai Socialisti, la cui opzione di base prefigurava un esito tendenzialmente collettivistico; l’ottica dei Radicali configurava l’opzione binaria, integrazionistica, tra l’individuale e il collettivo; diversamente dai Socialisti, i Radicali guardavano ai soli Originari. Facendo leva sulla legislazione nazionale varata nel 1894 e nel 1908, l’Amministrazione di Girolami Parisi e le successive, che negli anni 1914-20 furono fortemente caratterizzate dai Radicali, ratificarono il principio “comunitario-comunalistico” fondato sugli antichi diritti delle popolazioni originarie, attivandosi, su decisiva azione dell’on. Fazi a partire dal 1909, per definire l’assetto delle Comunanze. Accertata l’entità delle Proprietà Frazionali “gravate” (l’aggettivo è del tempo) da uso civico; ricostituite e/o costituite le 14 Associazioni Agrarie prima ricordate, si effettuava la consegna dei beni e s’istituiva l’Associazione delle Comunanze Agrarie anche questa già nota a chi legge, sotto la presidenza di Maiolica Gentili Spinola.
Per quanto possa apparire paradossale, trattandosi dei Radicali e in particolare dell’anticlericale e massone Fazi, nell’approccio ai beni demaniali e comuni in genere v’era un intento “poveristico”, da non confondersi con l’etica e la pratica “pauperistica”, un’eco dell’antichissima, cristiana subventio pauperum, del tutto aliena da quel sentire filantropico proprio della tradizione laico-massonica. (Decenni dopo, precisamente nel 1931, allorché i percorsi di “ordinamento” e di “sistemazione” delle Comunanze Agrarie avviati dalla legislazione fascista negli anni 1920 erano in piena evoluzione, si tornava ad esaltare questo profilo “poveristico”, peraltro duro a morire: come attestano le cronache politiche dell’oggi, caritativo-caritatevole; che non vedeva nei “beni comuni” l’espressione storica di un diritto collettivo delle popolazioni rurali-contadine, un tratto ben evidenzito, invece, da Emilio Sereni in ripetuti passaggi del suo notissimo libro su Il capitalismo nelle campagne; o l’espressione storica di “un altro modo di possedere”, giusta la fondamentale ricognizione di Paolo Grossi sulla suggestione di quanto aveva argomentato Carlo Cattaneo a proposito delle proprietà collettive nell’Alta Valle del Ticino. Così, infatti, si scriveva nel ’31: “Le Comunanze agrarie di Foligno, per la loro importanza patrimoniale e per la suscettibilità di trasformazioni colturali, rappresentano un elemento apprezzabile di benessere, specialmente per la popolazione povera della montagna”. Il fascismo, intrecciò l’intonazione “poveristica” con la riforma della legislazione concernente boschi e terreni montani (1923-26); il riordinamento degli usi civici (1924-30); la riforma della legislazione sulle bonifiche idrauliche (1923-24); il lancio della “battaglia del grano” (1925); la legislazione sulla “bonifica integrale” (1928-33): dissodare, coltivare era l’obiettivo: per stabilizzare le famiglie e gli “utenti poveri coltivatori”: arrestarne l’esodo.)


costituzione della comunanza3. Fu nel laborioso processo evolutivo verificatosi a cavaliere del Novecento che il 21 dicembre 1918, nel clima euforico della vittoria sugli Imperi Centrali, nasceva la Comunanza Agraria di Sant’Eraclio. Alla base: né il “poverismo”, né l’idea di un “altro modo di possedere”; alla base, stava l’idea di appropriarsi di una fonte di ricchezza per la Comunità Paesana che si riteneva indebitamente accaparata da un Ente pubblico sentito lontano per molteplici aspetti, non ultimo quello politico. In quel momento, il Comune era amministrato da una giunta incentrata sul Partito Radicale, il Partito Repubblicano e un piccolo gruppo di Monarchici progressisti; nata nel 1914 sotto gli auspici del precedente sindaco Girolami Parisi e presieduta da Ercole Abbiati, la Giunta era l’espressione maggioritaria di un Consiglio comunale nel quale era attivamente presente una minoranza formata dal Partito Socialista Italiano (sei consiglieri su trenta, capeggiati da Tito Marziali), partito che mostrava un forte impegno per i problemi agricoli in generale e dei contadini (coloni e braccianti) in particolare. Tra il ’14 e il ’18, si avvicendarono due sindaci: Abbiati, cui succedette, dopo le dimissioni presentate da questi nel settembre 1917, il già menzionato Maneschi.
Erano, quelle, fasi storiche caratterizzate da una serrata lotta ideologico-politica tra radicali, socialisti e cattolici, guidati questi ultimi da d. Michele Faloci Pulignani, canonico decano della cattedrale di San Feliciano, d. Celestino Bordoni, canonico arciprete della medesima e redattore principale della Gazzetta di Foligno, d. Angelo Fongoli, canonico onorario della cattedrale, priore della collegiata di San Salvatore e redattore del settimanale cattolico appena citato, e, in Sant’Eraclio, da d. Luigi Polanga, discepolo spirituale e culturale di Faloci Pulignani. Localmente, la strategia cattolica era assai articolata. a) Il bollettino parrocchiale Sant’Eraclio, fondato (1914), diretto e scritto da Polanga, aveva ripreso le pubblicazioni nell’agosto del 1917, per muoversi all’unisono con la Gazzetta di Foligno, e, di lì a non molto tempo, con il nuovissimo Corriere di Foligno che sarebbe stato fondato da Faloci Pulignani nel 1919. b) In ambito rurale e ruralistico, si segnalava l’attività dell’Associazione Colonica del Comune di Foligno, presieduta da Agostino Fratini: un’associazione interfrazionale, con fulcro in Sant’Eraclio e mèntore d. Luigi, attivo membro del suo direttivo (si ricordi l’apoca colonica stipulata nel 1919). All’impegno in questa organizzazione, il parroco aggiungeva la cura pastorale della Società di Sant’Antonio, un sodalizio devozionale la cui mansione principale era quella di organizzare la Festa degli Agricoltori (possidenti e contadini: secondo la più collaudata espressione di interclassismo ruralista) il 17 gennaio (Sant’Antonio, venerato nel santuario di Vienne in Francia); e la curatela, è il caso di dire: “politica”, dell’Unione o Fratellanza Agricola di Sant’Eraclio (anch’essa un’associazione di capitale agricolo e lavoro contadino). c) Nel novembre-dicembre 1917 (il disastro di Caporetto manteneva tuttora intatta la sua terribile drammaticità), allorché fu costituito il Consorzio Agrario Cooperativo Mandamentale di Foligno, tra i fondatori vi fu d. Polanga a rappresentarvi la Fratellanza Agricola; egli entrò nel Consiglio direttivo del Consorzio e in seguito ne avrebbe assunto la vicepresidenza. d) Ma il fiore all’occhiello del canonico era da considerare la Cassa Rurale di Sant’Eraclio, società commerciale cooperativa in nome collettivo fondata il 27 maggio 1917, su ispirazione di d. Faloci Pulignani e d’intesa con la Giunta Diocesana di Azione Cattolica. Elencare i fondatori dell’Istituto, in gran parte dei possidenti a varia consistenza patrimoniale, è come richiamare alcuni degli esponenti più in vista del cattolicismo militante santeracliese: d. Polanga, in prima fila, poi Girolamo Pioli, Luigi Tacchi (già menzionato all’inizio del mio intervento), Giovanni Petesse, Francesco Baldoni, Mariano Manenti, d. Alessandro Fani, Giovanni Battista Lucidi, Francesco Bosi, Francesco Tosti, Decio Pioli, Nazareno Casciola, Bernardino Calvani, Pietro Lucidi, Giuseppe Polanga, Feliciano Piermarini, Giuseppe Coccetti, Giuseppe Trombetti, Emidio Fondati, Enrico Benedetti. All’atto della fondazione, Pioli e d. Luigi erano stati eletti rispettivamente presidente e vicepresidente della Cassa, che, domenica 16 settembre ’17, aveva iniziato le operazioni. (Entro la prima metà del 1919, l’Istituto avrebbe attivato il Segretariato del Lavoro, per “assistere” e “tutelare” “operai, braccianti, lavoratori in genere che si trovassero disoccupati, che avessero diritti da far valere, ragioni da sostenere, vertenze da risolvere”. Era un contraltare alla Camera del Lavoro, molto mobilitata e mobilitante grazie alla segreteria camerale nelle mani dell’operaio-tipografo Francesco Innamorati).
mulino ViolaA completare questa tessitura, nel corso del 1918 il nostro canonico s’impegnava a fondo nella formazione della Comunanza Agraria di Sant’Eraclio. Nominalmente, l’iniziativa era stata assunta, come ho ricordato all’inizio, dalla Società “Pro Sant’Eraclio”. Questa si era formata nel 1912 denominandosi Comitato “Pro Sant’Eraclio” avente lo scopo di ottenere la sistemazione completa del tratto di via Flaminia (o via Roma) antistante l’edificio delle signore Ponza Magna. Componevano il Comitato: Sante Prosperi, d. Polanga, Giovanni Persichilli, Decio Pioli, Luigi Tacchi, Pietro Zipoli, Francesco Bosi, Girolamo Pioli, Raffaele Cecchini, Feliciano Piermarini, Antonio Pisello, Giuseppe Coccetti, Nazareno Casciola, Giovanni Battista Alleori. Una volta demolita la casa delle Ponza Magna, nel 1917 (vedi foto in basso), il Comitato si era mosso per il restauro delle mura castellane che erano retroposte all’edificio; e fu nel ’17, che il Comitato assumeva la denominazione di Società “Pro Sant’Eraclio” (la cui storia è tutta da ricostruire).
Formalizzata la sera del 21 dicembre ’18, la Comunanza nasceva nel salone parrocchiale alla presenza del pro-sindaco Tobia Riegherspergher, perito agrimensore che ben conosceva il fondo comunitario del Monte, e dei signori Pietro Duranti e Alessandro Pieraccini, autorevoli esponenti del Comitato di Mobilitazione Civile (avviato nel 1915 per le occorrenze della Grande Guerra ed ancora attivo); d. Luigi ne assumeva la segreteria, con Mariano Manenti alla presidenza, Decio Pioli e Nazareno Casciola nel consiglio; tutti e quattro, come già sappiamo, fondatori della Cassa Rurale. Nell’incontro s’illustrò un “regolamento”, e si elencarono gli Utenti; documenti che, a quanto mi risulta, non sono pervenuti fino a noi. Come non è pervenuta fino a noi, almeno stando alle conoscenze attuali, la documentazione istituzionale antecedente il 1964. Dico della documentazione istituzionale; ma la storia di un Ente si può ricostruire con una quantità notevole di fonti diverse. Nel caso nostro, è auspicabile che qualcuno cominci a farlo.
Al di là dell’esistenza o meno di un atto fondativo della Nuova Comunanza, l’evento del 21 dicembre chiudeva la prima fase del disegno strategico espresso dal cattolicismo militante santeracliese. Non è questa la sede per illustrare le modalità con le quali le circostanze, gli interessi materiali, le opzioni politico-ideologiche, le determinazioni volitive dei protagonisti (in primis del canonico Polanga) avrebbero fatto evolvere il disegno stesso: interagendo, inevitabilmente, con le vicende della Comunanza.

Demolizione della casa delle Ponza Magna, 1917