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Santeraclio scritta

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Uno spaccato economico e sociale del mio paese”

di Gianni Sante Piermarini    (21dicembre 2018)

 

 

 

Buona sera e buon compleanno alla Comunanza, a questo Ente che in tanti anni ha svolto un importante ruolo di sviluppo economico – sociale nel nostro paese.
Ringrazio i promotori di questa bellissima e significativa Festa del Centenario, e per avermi invitato a parlare di Sant’Eraclio.
Ho accettato volentieri perché, come dico sempre, mi sento un santuracchiese doc: nato, cresciuto e vissuto finora qui, e perché, data la mia avanzata età, credo di aver tanta esperienza e una buona conoscenza del territorio per poter fare uno spaccato della vita economica - sociale del mio paese. Ma anche per l’amore che provo per questa comunità che è sfociato nel mio impegno politico. In quegli anni constatavo che noi consiglieri comunali di Sant’Eraclio, anche se militavamo in partiti politici dalle notevoli differenze ideologiche, remavamo tutti in un’unica direzione per risolvere i problemi del nostro paese.
Questa sera parlerò di Sant’Eraclio, ma non partirò da molto lontano, non farò la sua storia dalle origini. Racconterò solo il periodo che va dalla mia infanzia ad oggi, cioè dagli anni 40 circa in poi. Come testimone cercherò di fare, per sommi capi, una narrazione corretta dell’aspetto socio – economico – culturale del nostro paese con avvenimenti, momenti particolari, usanze, tradizioni che ci permetteranno di cogliere il cambiamento radicale avvenuto in questi anni.
Intorno al 1940 Sant’Eraclio era soprattutto un polo agricolo molto bene organizzato e strutturato le cui attività prevalenti l’agricoltura e l’allevamento del bestiame fornivano alla popolazione ingenti risorse.
Fruttivendoli in piazzaA sud del paese si estendeva una campagna sterminata coltivata in grande quantità a cereali, legumi e soprattutto foraggi per il bestiame. La presenza di numerosissime risorgive, fossetti, canaletti e perciò di una eccezionale ricchezza d’acqua favoriva la produzione di ortaggi di ogni genere che gli stessi produttori vendevano nella piazzetta di Sant’Eraclio e a Foligno.
La coltivazione della vite, molto estesa sia in pianura che nella bassa collina, era fondamentale. Le piantate si estendevano a perdita d’occhio. Nei numerosi filari intercalati nella loro corsa da olmi poderosi che sostenevano le viti, si produceva uva di qualità dalla quale si otteneva un’ingente quantità di vino pregiato da vendere. Il piccolo contadino, come mio nonno, aveva invece una sua vignetta che produceva a mala pena il vino per il consumo familiare. Per lui però era un piccolo tesoro che custodiva e curava con passione e dedizione perché gli assicurava la presenza di una bella brocca di vino sul tavolo, ma soprattutto la soddisfazione di aver prodotto qualcosa di suo da poter offrire ad un amico in segno di benvenuto e ospitalità.
Mi rivedo bambino quando partecipavo con entusiasmo alla vendemmia nel vigneto dei nonni, ma soprattutto alla lavorazione dell’uva in cantina. A noi piccoli della famiglia, era riservato un particolare momento di questo lavoro: la pigiatura dell’uva. A piedi nudi schiacciavamo i bei grappoli dentro una grossa tinozza in muratura. Era un divertimento indescrivibile.
In pianura erano disseminati molti casolari dove viveva la famiglia del contadino, famiglia numerosa di stampo patriarcale. Tutti i componenti dai più giovani ai più vecchi lavoravano, ognuno svolgeva un compito specifico. Era tutto un fermento! Ma quello che colpiva di più era la ricca presenza di animali di ogni genere buoi e mucche nelle stalle, pecore negli ovili, galline, pulcini, oche, tacchini nell’aia. Il cane pastore e i numerosi gatti gironzolavano pigri per il cortile. Questo intenso allevamento di bestiame era la prima fonte di guadagno per molte famiglie. Avere una stalla ricca di buoi, mucche, significava benessere, sostentamento alimentare e forza lavoro. Ecco perché ci si prendeva molta cura degli animali. Il latte prodotto dalle mucche veniva distribuito e venduto direttamente alle famiglie dagli stessi allevatori. In questo settore grande notorietà e prestigio aveva la famiglia Manenti. Una curiosità: il capostipite Mariano è stato il primo presidente della Comunanza Agraria.
Nell’economia domestica degli anni di cui sto parlando, il maiale aveva un posto di rilievo. Era l’animale più presente sia in campagna che nel paese dove, bastava avere nelle abitazioni un piccolo spazio a piano terra per trasformarlo in uno “stallittu” dove far crescere il maialetto. L’uccisione di questo prezioso animale e soprattutto la spolpatura era un vero rito che coinvolgeva tutta la famiglia. La carne selezionata e lavorata da una persona esperta veniva consumata rigorosamente nel corso dell’intero anno in precisi momenti quasi a scandire il susseguirsi delle stagioni. Nei primi mesi dell’anno si mangiava la carne fresca, gli insaccati, salsicce, mazzafegati, sanguinacci, a Pasqua il salame, per l’Ascensione il capocollo e il lonzino, in estate le spallette e nel tardo autunno i prosciutti.
Sant'Eraclio - il castelloLe colline a nord del paese erano ricoperte da migliaia e migliaia di ulivi che davano un caratteristico aspetto al paesaggio con le loro chiome argentee. Tale coltivazione rappresentava occupazione per molte famiglie. I numerosi frantoi a pietra presenti nel territorio procedevano alla molitura. L’olio prodotto, giudicato dagli intenditori di ottima qualità veniva venduto anche fuori regione. La commercializzazione completava la filiera olivicolo – olearia.
Il paese di S.Eraclio era un centro abitato poliedrico e molto attivo dove la vita era concentrata all’interno e attorno al Castello dei Trinci. Lungo la via principale, oggi via I° Maggio, era un susseguirsi di botteghe artigianali di professionalità ormai perdute: il bottaio, il sarto, lo stagnino, il falegname, il fabbro, il ciabattino, il maniscalco e di negozi di ogni genere: alimentari, di frutta, mercerie, telerie, forni, panetterie, bettole, bar e il ristorante Garibaldi gestito da mia prozia Sofia Pace. Tra i molteplici servizi vi era tra l’altro l’ufficio postale e il telefono pubblico. Nell’anno 1943 si concluse un importante attività di volontariato: la Pubblica Assistenza “Croce d’Oro”. Aveva la sua sede nei locali a pianoterra della Casa del Fascio. Per molti anni si era adoperata per soccorrere i malati e trasportarli all’ospedale di Foligno. Avevano a disposizione una “lettiga a trazione umana” e una carrozza.
La Cassa di Risparmio era una presenza essenziale per gli artigiani e le famiglie a cui attingevano per il credito. Ho letto che le Confraternite chiesero un mutuo per costruire l’asilo parrocchiale al tempo di don Luigi Polanga.
Tra le attività d’intrattenimento a Sant’Eraclio c’era anche la banda fondata a fine Ottocento da Monsignor Faloci, ma con la guerra le esibizioni si interruppero. Passato l’intervallo bellico il maestro Vinicio Metelli con la passione, l’entusiasmo e la competenza che lo contraddistingueva, rifondò la banda che si esibiva per le ricorrenze civili e quelle religiose. Io andavo in processione con la mia mamma e mi infilavo più possibile vicino alla banda perché mi piaceva ascoltarla, non solo ma cadenzavo il mio passo al ritmo musicale.
A Sant’Eraclio c’era di tutto non mancava proprio nulla. Possiamo dire che era un paese autosufficiente oserei dire un paese autarchico. Per questo era chiamato la Piccola Parigi. Un bel paesotto che contava circa 2000 abitanti. Le sue strade brulicavano di persone a piedi e molte altre in bicicletta che ognuno parcheggiava ai lati della strada senza timore che venisse rubata. Uomini che svolgevano svariate attività lavorative, e donne che tutte le mattine uscivano per fare la spesa. Allora non c’erano i frigoriferi. Caratteristiche le lavandaie che sorreggendo sulla testa in perfetto equilibrio il cesto della biancheria sporca e con portamento fiero quasi spavaldo attraversavano il paese per andare a “Petruju” cioè al lavatoio poco fuori Sant’Eraclio, dove scorreva una limpidissima acqua di risorgiva. E qui, mentre lavavano, parlavano, cantavano, scherzavano perciò “Petruju” non era solo un luogo dove lavorare, ma rappresentava un momento piacevole. Stare insieme rendeva più leggera la fatica.
Noi fanciulli eravamo i padroni della strada dove in piena libertà trascorrevamo lunghi pomeriggi spensierati tra giochi e avventure. Giochi come “ciruli”, “breccò”, “palla prigioniera”, i “quattro cantoni”, “muffa” “palla avvelenata” “nascondino” “ruba bandiera” e altri. Ci divertivamo con poco e spesso gli strumenti che venivano utilizzati per giocare li costruivamo noi stessi. Un gioco che coinvolgeva al massimo noi maschietti, era i combattimenti tra rioni San Pietro e Cassero. Costruivamo delle capanne i “comandi” da dove partivano gli ordini per le battaglie. I nostri genitori erano tranquilli perché non c’erano pericoli. Solo da grande ho capito che la strada è stata per noi ragazzetti maestra di vita nel quotidiano confronto con i giovani più grandi di noi e con gli adulti acquisendo esperienze e conoscenze che ci sarebbero state utili nell’avvenire.
Ripercorrendo ora con il pensiero la strada principale ho l’impressione di incontrare alcune persone: personaggi caratteristici e molto noti.
Ad esempio il dottor Moscato, medico condotto di Sant’Eraclio e dintorni. Lo vedevo passare per le strade del paese a bordo della sua minuscola Cinquecento blu. Con questa raggiungeva i paesini della collina e località di campagna. Amato e stimato da tutti era giudicato un bravo dottore che con il suo intuito e capacità professionale riusciva a risolvere situazioni critiche.
Guerrino “Lu vetturino”Un personaggio interessante era Guerrino “Lu vetturino”. Seduto a cassetta con maestria e orgoglio guidava la sua carrozza lucida ed accogliente. Era sempre a disposizione di chi avesse bisogno di recarsi a Foligno e nei dintorni. Io ero attratto dalla carrozza di Guerrino, ma non potendoci salire mi accontentavo di sedermi sui ferri posteriori con un amico sporcandomi il viso e i vestiti di grasso dopo di che seguivano i rimproveri di mia madre.
Al centro di Sant’Eraclio c’era Raminda la fornaia, sempre indaffarata ad accogliere le massaie che dovevano cuocere cibi vari. Arrivavano con il “capestio” in testa, una lunga tavola dove erano disposti in perfetto ordine i filoni di pasta. Dal forno di Raminda si sprigionava un fragrante profumo di pane fresco, di dolci e, nel periodo pasquale quello gradevolissimo delle pizze di formaggio.
Più avanti sul lato destro della strada il calzolaio Guglielmo Polanga che vendeva scarpe nuove confezionate da lui su misura e aggiustava quelle vecchie. A volte lo vedevo con il suo banchetto da lavoro sul marciapiede davanti alla sua bottega attorniato dai suoi dipendenti. La famiglia Polanga a Sant’Eraclio godeva di stima e rispetto. Guglielmo era il fratello di don Luigi Polanga e padre di Giovanni Polanga professore e soprattutto scrittore, commediografo e autore di poesie in dialetto e in italiano.
Paolo “de Fiorino” il maniscalcoE ancora Paolo “de Fiorino” il maniscalco. La sua bottega buia e tetra sembrava un antro, con tanti attrezzi sparsi qua e là o appesi alle pareti. Al centro del grande stanzone era piazzata un’enorme incudine e a fianco la fucina. All’esterno sulla strada vedevo Paolo intento a ferrare cavalli e mucche. Io assistevo spesso a questo lavoro anche se provavo un po’ di fastidio perché ero convinto che quei lunghi chiodi che fissavano il ferro allo zoccolo procurassero dolore all’animale.
Punti nevralgici di Sant’Eraclio erano i due bar: quello di Gildo Tucci frequentato soprattutto dai giovani che trascorrevano il loro tempo giocando a biliardo e quello di Alfredo Paci passato, dopo la guerra a Assuntina Committeri e suo marito Ignazio. Questi erano i luoghi ideali per socializzare e affrontare mille argomenti: dagli avvenimenti di attualità a quelli di politica e di sport. A quei tempi non si leggevano tanti giornali, le notizie si diffondevano con il passaparola o frequentando i bar dove c’era sempre qualcuno che era al corrente di tutto.
Questi personaggi sono solo alcuni che io ricordo da ragazzetto ma non escludo che ce ne possano essere altri ugualmente importanti e conosciuti.
Tra gli abitanti di Sant’Eraclio, una spiccata e profonda religiosità popolare si manifestava quotidianamente con una assidua frequenza alle varie celebrazioni religiose, la Santa Messa, i vespri e altre funzioni, ma soprattutto nelle festività più importanti dell’anno Natale, Pasqua con i riti e tradizioni. Altre ricorrenze religiose che coinvolgevano l’intero paese, erano la Festa del Patrono del 4 maggio quella della Madonna del Rosario del 7 ottobre e quella del Corpus processioneDomini con le relative processioni estremamente partecipate che testimoniavano la venerazione per i propri Santi. A queste se ne aggiungeva un’altra caratteristica e molto sentita: la festa di S.Antonio Abate protettore degli animali. Dopo la messa solenne il parroco impartiva la benedizione agli animali che numerosissimi affollavano la grande piazza. Era veramente uno spettacolo. I numerosi allevatori che venivano dalle campagne facevano sfoggio dei loro animali tutti infiocchettati, strigliati, tirati a lucido. La benedizione veniva accolta da tutti con devozione ed era molto apprezzata perché significava ricevere la protezione del Santo: salute e prosperità. La religiosità dei santuracchiesi era sostenuta anche dalla presenza delle Suore Francescane di Gesù Bambino. L’asilo parrocchiale che loro gestivano con molta cura era una garanzia per l’educazione dei bambini e delle famiglie. Si circondavano inoltre di ragazze alle quali impartivano lezioni di ricamo che diventavano opportunità per una formazione religiosa.

don Luciano RaponiIn quegli anni abbiamo avuto a Sant’Eraclio un grande parroco don Luciano Raponi che è rimasto nei nostri cuori. Era il tipico parroco di campagna sempre vicino ai malati che visitava regolarmente, e ai bisognosi. Seguiva con attenzione tutte le famiglie delle quali conosceva soprattutto i problemi individuando soluzioni idonee a risolverli. Di questo parroco ricordiamo anche molte iniziative di carattere sociale. Aiutato dai ragazzi e ragazze di Azione Cattolica, progettò le Miniolimpiadi, i campeggi finalizzati alla formazione dei ragazzi, si prese cura dei giovani sacerdoti che gli venivano affidati dai Vescovi. Diede impulso al Carnevale, apri una sala parrocchiale per la proiezione di film con finalità educative.
Campo di aviazioneNel 1940 scoppiò la seconda guerra mondiale. Sant’Eraclio era situato in prossimità del campo di aviazione, della stazione e della Macchi industria che fabbricava gli aerei trimotori da guerra gli S69. La stazione, il campo d’aviazione e la Macchi erano punti strategici, sicuri bersagli degli aerei. Il 22 novembre del 1943 avvenne a Foligno il primo bombardamento che causò distruzione e 97 vittime. Sant’Eraclio non subì danni ma solo tanto spavento e panico perché le fortezze volanti sorvolavano rumorosamente il paese disorientando gli abitanti che sfollarono sulle colline circostanti dove si sentivano più sicuri. Il paese si spopolò, ma nel ’44 passato il pericolo, perché la guerra si era spostata più a nord, le famiglie rientrarono nelle loro case e pian piano si tornò alla normalità. Dopo il 25 aprile del 45, finita definitivamente la guerra ritornarono i reduci dai campi di concentramento militare, ma nessuno dai campi di sterminio.
In questo periodo e anche prima, molti furono gli avvenimenti più o meno importanti che segnarono la mia vita e quella del mio paese. Io a dire la verità sono stato fin da bambino molto curioso, interessato a tutto quello che accadeva intorno a me. Ero sempre presente, sempre in prima fila. Tanti perciò i ricordi di questi anni, alcuni indelebili, altri un po’ offuscati che io, data la mia tenera età, vivevo emotivamente attraverso i racconti e i commenti degli adulti. Un giorno ricordo, notai con grande meraviglia una cosa molto strana. Il paese era deserto: i negozi, le botteghe chiuse, lungo le strade, in piazza non c’era anima viva. Era morto don Luigi Polanga. Gli abitanti, mi spiegò mia madre, erano tutti in chiesa per assistere al funerale del loro grande parroco, ingegnoso, amato e stimato che per trentasei anni si era preso cura della nostra parrocchia.
Ricordo molto bene anche un altro fatto. Nel 1939 alle 8 di mattina sentii un gran frastuono. Mi affacciai alla finestra del torrione del Castello dove abitavo e vidi un gruppo di persone che correva verso via del Cassero (oggi via Tamburini). Scesi e le seguii. In via Bordina al centro del paese, trovammo un aereo della scuola di pilotaggio di Foligno che era precipitato in un cortile tra le abitazioni senza causare fortunatamente né vittime né danni. Il pilota si era salvato gettandosi con il paracadute e cadendo sul tetto della chiesa di San Marco.
Nel 1941 arrivò a Sant’Eraclio il giovane parroco don Mariano Filippini che si distinse per l’attenzione rivolta ai giovani di Azione Cattolica in cui io militavo come aspirante. Questa preziosa presenza influenzò in maniera determinante il mio processo di crescita. Seppe suscitare in me quella coscienza civica, base indispensabile per l’impegno sociale e politico che caratterizzò per lungo tempo la mia vita e quella di altri miei amici.
In una notte del febbraio del 1944 suonò l’allarme come ormai succedeva spesso, segno di un probabile bombardamento nei dintorni. Come facevano tutti, via di corsa verso la collina. Ad un tratto comparvero nel cielo buio delle sfere scintillanti. Erano così tante da illuminare a giorno tutta la zona. Io ero affascinato, mi sembrava una magia. Mia madre invece tremava e mi stringeva forte forte a lei. Dopo pochi minuti ritornò il buio. Mi spiegarono che gli aerei degli alleati avevano lanciato quei bengala per colpire con più precisione gli obbiettivi stabiliti. Continuando a sfogliare il mio album di ricordi mi torna in mente un altro avvenimento molto importante. Il 3 febbraio del 1944 i tedeschi effettuarono il rastrellamento a Sant’Eraclio e sulle montagne sovrastanti. Furono catturati alcuni giovani partigiani Pizzoni, Santocchia, Bizzarri, sorpresi nella località Fosso di RadicosaFosso Radicosa con un tascapane pieno di bombe e condotti in Austria insieme ad altri ragazzi dei dintorni. Più tardi si seppe che erano stati internati a Mathausen nel campo di sterminio dove morirono di stenti. Io che allora avevo solo 11 anni, appresi la notizia nella barbieria di “Macelletta” dei fratelli Mazzocchi, dove alcuni uomini commentavano animatamente l’accaduto. Io non capivo bene cosa stesse succedendo ma dall’espressione dei loro visi e dalle parole concitate che rivelavano preoccupazione e sconcerto, capii che era successo qualcosa di grave.
Il 2 giugno del ’46 si svolse in tutt’Italia il referendum Monarchia – Repubblica che sancì la vittoria della Repubblica. L’Italia era una Repubblica democratica. Nel paese c’era fermento per una scelta così importante. Le donne furono chiamate al voto per la prima volta. Nella stessa tornata elettorale fu eletta l’Assemblea Costituente che redasse la Costituzione entrata poi in vigore il 1 gennaio del ’48. Il 18 aprile dello stesso anno si tennero le elezioni politiche per la formazione del Parlamento. Lo scontro fu forte soprattutto tra Democrazia Cristiana e il Fronte Democratico Popolare (Pci – Psi). Da tutti i partiti fu fatta una propaganda capillare a Sant’Eraclio, nei paesi di montagna e di campagna per sensibilizzare la popolazione a votare i rispettivi candidati. Anch’io partecipavo. Avevo 15 anni e seguivo i giovani più grandi di me. Tutto questo mi entusiasmava, ascoltavo con interesse quello che dicevano cercando di imparare. Andavo anche ad attaccare i manifesti o a scrivere battute scherzose sotto il viso di Garibaldi simbolo del Fronte Democratico Popolare. Questa competizione era molto sentita dagli abitanti di Sant’Eraclio che discutevano animatamente nei bar e in altri luoghi pubblici. I comizi erano molto accesi. Ricordo un contradditorio memorabile particolarmente infuocato tra il senatore Prosciutti del Pci e don Francesco Conti che sosteneva le tesi del cattolicesimo democratico. Il confronto era cadenzato da scroscianti applausi e fischi sonori. L’affluenza al voto fu altissima come in tutt’Italia, si raggiunse il 90%. Questo livello di partecipazione democratica non fu più raggiunto in particolar modo nei nostri giorni. Lo sottolineo con profondo rammarico e delusione, auspicando un’inversione di tendenza per il futuro.
Nel 1953 fu realizzata la nuova scuola elementare in Piazza Garibaldi e dopo qualche anno nel piano terra dello stesso edificio fu istituito l’Avviamento Professionale per l’Industria guidato dal professor Giovanni Polanga. Con la riforma del 1962 l’avviamento divenne scuola media unificata. Il primo preside fu Verledo Baldassarri che le diede un eccezionale impulso con l’introduzione del tempo pieno e soprattutto con l’accoglienza dei ragazzi disabili. La scuola media “Galilei” di Sant’Eraclio si affermò come istituto pilota nella Regione: un vero e proprio fiore all’occhiello per il nostro piccolo paese. !
Nel 1954 nacque il Carnevale organizzato con un comitato sotto la presidenza di Luigi Alessandrini. Dopo un primo scioglimento, nel 1961 grazie alla volontà di don Luciano Raponi la manifestazione riprese con il nome di “Carnevale dei Ragazzi”. Tale tradizione è proseguita sino ai giorni nostri grazie all’incessante opera di volontariato dei mastri cartapestai artefici di pregevoli espressioni artistiche rappresentate dai carri allegorici e raffinate maschere. Tra iAlfio Pace presidenti dell’Ente “Carnevale” spicca la figura di Alfio Pace che fece uscire la manifestazione dagli ambiti angusti della festa paesana, facendogli assumere la connotazione di una kermesse unica nel suo genere che fonde insieme fantasia, spettacolo ed allegria. Lo si ricorda soprattutto per aver perso la vita sul Pico Bolivar in Venezuela durante una missione promossa dal “Centro Internazionale della Pace fra i Popoli” di Assisi.
Tra gli anni ’50 –‘60 anche a Sant’Eraclio si avvertirono evidenti segni del boom economico o miracolo economico che determinarono un profondo cambiamento nel tessuto socio culturale del nostro paese. Buona parte della campagna, fu sostituita da una discreta zona industriale con la Gavina un mobilificio che produceva pezzi di arredamento per le navi e i ristoranti, con il Centro agricolo Mancini che aveva la scuola trattoristi molto frequentata dai giovani della zona, il panificio Ipa, l’Oma un’industria aereonautica per la revisione degli elicotteri dell’esercito. Le industrie sorte a Sant’Eraclio e quelle che già esistevano a Foligno da prima del 900 favorirono l’occupazione di molti giovani che si dedicarono a questi nuovi lavori con benefici enormi. Nel paese si raggiunse un discreto benessere che migliorò le condizioni di vita. Nelle case entrarono i primi elettrodomestici, il frigorifero, la lavatrice, strumenti così importanti ancora adesso che se si rompono sono tragedie. L’arrivo della televisione contribuì ad elevare il livello culturale degli italiani. Molto importante fu il programma tv “Non è mai troppo tardi” del maestro Alberto Manzi che insegnava a leggere e a scrivere aiutando a sconfiggere l’analfabetismo diffuso soprattutto nelle campagne.
Per le strade di Sant’Eraclio passavano numerose le Cinquecento, gli scooter, le Vespe e le Lambrette guidate anche dalle donne. Primi segnali di emancipazione femminile.
Il nuovo stadio fu intitolato ad Adriano PaoliniNel 1960 la Comunanza Agraria di Sant’Eraclio interpretando il desiderio di molti atleti, e cioè quello di avere un campo sportivo, acquistò un terreno in via Sant’Abbondio. Il Comune provvide a realizzare gli spogliatoi e la recinzione mentre noi sportivi livellammo il terreno con picconi, pale e carriole. Lavorammo anche di notte alla luce dei fari di alcuni motorini. Il nuovo stadio fu intitolato ad Adriano Paolini, giovane partigiano di Sant’Eraclio fucilato dai fascisti a Cesi nel 44. In qualità di presidente dell’Associazione sportiva Sant’Eraclio vi posso assicurare che quel momento fu particolarmente emozionante alla presenza della mamma, maestra Elisa Battaglini, alle autorità civili e religiose dell’epoca, fare memoria di Adriano Paolini. Il giovane si era immolato per la pace, la democrazia, libertà, valori fondanti della nostra Carta Costituzionale che non devono essere dati mai per scontati, ma riaffermati quotidianamente e tramandati alle nuove generazioni anche attraverso discipline sportive popolari come il calcio.
Quando nel 1987 fu inaugurato dal presidente della Circoscrizione n.5 Mauro Soli il nuovo e attrezzatissimo campo sportivo presso la zona Peep, nell’area di Sant’Abbondio la Comunanza realizzò l’attuale parco intitolato a “Ubaldo Soli e Carlo Marchionni”. Un polmone verde per la nostra frazione gestito oggi dal “Circolo On Air”.
Intorno agli anni 70 con i Consigli di Quartiere ha inizio la stagione della democrazia partecipata dove la popolazione era artefice delle scelte urbanistiche sociali economiche di Sant’Eraclio. Questa esperienza si è evoluta nel tempo trasformandosi in Consigli di Circoscrizione. Primo presidente fu Giovanni Ottaviani.
Nel 1972 fu istituito a Sant’Eraclio una residenza per anziani autosufficienti chiamata “Casa Serena” dell’Opera Nazionale Pensionati d’Italia. Ospitava numerosi anziani provenienti anche da fuori Regione. Rappresentava una eccellenza per l’assistenza socio sanitaria.
Il tempo corre in fretta ed io con i miei ricordi sono arrivato quasi ai tempi nostri. Dalla mia narrazione del passato è emerso chiaramente il carattere degli abitanti di Sant’Eraclio. Popolazione laboriosa, creativa con notevole sapienza artigianale. Gente che ha attraversato una lunga e disastrosa guerra affrontando disagi, stenti, dolore, che ha saputo reagire con determinazione e dignità guardando al futuro con speranza e fiducia. Un paese ricco di valori, con forte senso di appartenenza alla comunità, disponibilità verso l’altro e ottimi rapporti di vicinato. Adesso le cose sono un po’ cambiate: la vita è più frenetica, andiamo sempre di corsa. La televisione, ottimo strumento di comunicazione, tende ad isolarci, preferiamo rimanere in casa per seguire il programma preferito e evitiamo di partecipare alle iniziative del paese. A volte dimostriamo anche una scarsa propensione ad assumerci impegni al di fuori della sfera lavorativa. Qualcuno guardando al passato pensa che era meglio quando era peggio. Io dico di no. Noi siamo fortunati siamo vissuti e viviamo in tempo di pace, anche grazie alla felice intuizione di statisti come Adenauer, Schuman, De Gasperi, che sono stati i fondatori dell’Europa Unita.
Il progresso di questi anni ha cambiato notevolmente la nostra esistenza. Si vive più a lungo perché sono state sconfitte molte gravi malattie, la scoperta dei farmaci salvavita ci permettono di arrivare in discreta salute fino a tarda età. Ne sono un esempio i numerosi anziani che negli anni scorsi hanno raggiunto un secolo di vita e alcuni ancora oggi viventi.
Ma non è tutt’oro quello che brilla. I problemi non mancano. La crisi economica iniziata nel 2008, ancora oggi evidente, ha compromesso seriamente la vita di molte famiglie. E’ cresciuta la disoccupazione, soprattutto giovanile. Il nostro parroco Don Luigi Filippucci che conosce molto bene la realtà di Sant’Eraclio, ha più volte sottolineato che la povertà ha raggiunto un livello preoccupante determinando un forte disagio sociale. Passando per le strade del paese è triste vedere tante serrande dei negozi di quartiere abbassate. Le attività economiche sono seriamente compromesse. La presenza di numerosi supermercati e centri commerciali hanno contribuito a rendere ulteriormente problematica la situazione.
Ma la speranza che le cose cambino non ci abbandona mai. Un piccolo, piccolissimo segno di ripresa, secondo me, è rappresentato dalla recente riapertura del bar di Assuntina, storico punto centrale di aggregazione del paese ora gestito da due giovani fratelli Valentina e Nicola Ferri. Auguri ragazzi!
Concludo dicendo a tutti voi presenti e in particolare alle nuove generazioni: “Siamo partecipi, protagonisti, non ci facciamo sconfiggere dall’indifferenza, rimbocchiamoci le maniche, non disperdiamo le forze, facciamo fronte comune, affinché orgogliosamente il territorio di Sant’Eraclio con le sue tipiche specificità non sia solo una periferia ma risplenda di luce propria”.
Grazie.